Noi Scriviamo!
tornerà tutto alla normalità perché un padre che scrive ogni giorno a suo figlio dall’altra parte dell’Infinito non fa più notizia, è così triste ‘sto mondo sai… importa sega a me, devo mettermi a continuare a scrivere “Glauco Besozzi”.
Certo quello non era il mio sabato sera, non mi attendevo granché da quella serata, tanto meno però che andasse così di merda.
Quando si schiuse la porta del locale non potei che stupirmi nello scorgere così pochi individui e così dispari uno dall’altro. Non c’erano due che facevano scopa. Parevano una di quelle sciagurate mani a scala nelle quali hai la sfiga fottuta d’avercela tutta, la scala, tutta bella precisa, senza intervalli, dall’asso al kappa ma tutta di semi diversi.
Otto, erano otto e con me ne contavamo nove. Strano, troppo strano che non ci fosse nessun altro. M’avevano sempre detto che quel posto straripava di gnocca…“Sì, fino a ieri” disse sospirando il bambino sull’uscio.
Dieci anni non poteva che avere dieci anni, cosa ci faceva lì dentro?
“Bevi qualcosa” arrivò dal fondo della sala, proprio dove c’era il bancone.
“No, adesso esco. Ero venuto per trovare un’amica ma vista la situazione credo proprio non sia passata di qui”.
Mi giro verso la porta, afferro e spingo il maniglione con un solo gesto deciso ma la porta non s’apre.
“Cosa succede? Perché non si apre sta cazzo di porta? C’è un’altra uscita?”.
Risponde quello grasso nell’angolo “Amico forse tu non hai capito”.
“Cosa? Cosa dovrei aver capito?” faccio spazientito.
“Era proprio te che aspettavamo!”.
“E dico cazzo, cosa potete volere da uno come me? Non ho una lira io. Siete del banco di mutuo soccorso ed ho vinto assistenza?”.
“Lo vedi quello laggiù in fondo?” S’infila quello stravaccato sull’amaca che mi pare il più disinteressato di tutti, perché gli altri non hanno che occhi per me. “Dice che solo tu puoi aiutarci a capire chi ha ammazzato quel povero cane sotto il lenzuolo”.
Scorre freon nelle mie vene, cazzo c’entro io con un morto ammazzato? Penso tra me e me.
“Dov’è il barista?” faccio con aria sbarazzina.
“Non c’è barista, solo noi otto, te ed il morto. Se vuoi qualcosa serviti”.
“Grazie fratello! Così non siamo solo noi nove, c’è anche un morto, dev’essere proprio la mia serata fortunata! E come c’è finita qua dentro la salma?”
“Non c’è finita, era già qui dentro prima che arrivasse ognuno di noi, mancavi solo tu all’appello”.
“Glauco Besozzi” dice il bimbo mentre lecca un ciupa ciupa. “Il cadavere si chiama Glauco Besozzi”.
Cazzo come me, si chiama come me, penso.
“Non pensare, parla” arriva dal biliardo “Qua dentro ci chiamiamo tutti Glauco Besozzi”.
Papo come va avanti? Così?
Una delle tante notti cui capita d’esser notte un tale scalò un grattacielo, vi ci rimase un istante in piedi barcollante e prima d’abbattersi al suolo gridò a squarciagola: “Una dottrina, un insegnamento è giusto, corretto e vincente solo quando porta l’uomo ad imparare ad esser libero, non dipendente! Ecco perché Gesù aveva ragione ma chiesa cattolica e islam falliscono passo dopo passo, SVEGLIATEVI SPORCO IL VOSTRO DIO!!”
S’accalcarono su ciò che rimaneva della figura di quel tale vigili, fotografi, carabinieri, poliziotti, giornalisti, passanti e turisti. Misurarono la lunghezza del volo, la velocità e la violenza dell’impatto, i parametri acustici del tonfo, dalla telecamera posta su un semaforo riuscirono persino a ricostruire il labiale, ma ciò che colse nel segno fu solo la bestemmia. Scrissero quindi sui giornali che si trattava dell’ennesimo gesto folle di un picchiatello – sciroccato – maniaco – pervertito – segaiolo arrapato, morto col cazzo in tiro ed il sorriso sulle labbra con insanabili smanie di megalomania. Chissà… Chissà se lo dissero perché quel tale diceva a tutti di fare spesso l’amore e di farlo bene, di carezzarsi e parlarsi, chissà se lo dissero perché scoprirono che alle volte voleva baciare i suoi amici maschi e far l’amore con le sue amiche femmine, perché aveva capito che miglior ricompensa proprio non esiste. Chissà!? Chissà se era passato invano!? Questo era il cruccio che rimase al barista che aveva bevuto con quel tale l’ultimo caffè ed aveva ascoltato le sue strane intenzioni con aria di compatimento, così come si fa con quelli un po’ troppo strani. Non resistette però a lungo la curiosità del barista e non sapendo dove cercare qualcosa che somigliasse ad una risposta, attraversò la strada e fissò intensamente l’asfalto ancora macchiato delle frattaglie di quel tale. Mentre con gli occhi scavava nel nero dell’asfalto che risposte non aveva, un barbone lo urtò. Riconobbe qualcosa di familiare nel volto del senza tetto e senza nulla aggiungere gli domandò “Ma qualcheduno l’ha sentito!?” Il barbone come se nulla fosse passò dritto per la sua strada sghemba ed al barista non rimase che tornare dietro al bancone. Ma mentre si avvicinava alla macchinetta del caffè vide un foglio spiegazzato tra le tazzine, lo afferrò e ci si tuffò tutto d’un fiato. Scoprì deluso che era solo la relazione del tecnico antincendio. Quella giornata passò all’andatura di qualsiasi altro giorno gli fosse capitato di trascorrere in quel periodo, fredda come una granita e amara come un chicco di caffè. Finalmente senza nemmeno troppo bramarla si ritrovò dentro casa, la sua dimora, che lo accolse col tepore che sa aver la propria casa quando si ha voglia di tornarci. Era un tipo abitudinario il nostro barista e come tutte le sere prima di salutare la sua famiglia ripose il cappotto, ne svuotò le tasche e si scoprì trovare un foglietto. Con mano tremolante lesse quel che una mano ferma gli volle donare: “quel tale non se ne andò triste, e nemmeno si domandò se qualcuno avesse sentito le sue parole, perché era sicuro che anche se tra il suo popolo non c’era nessuno che voleva ascoltarle, il vento, sicuramente il vento, come a lui le aveva portate, il vento, sicuramente il vento, a chi le aspettava le avrebbe regalate”. Non esitò un istante, diede un bacio alla moglie, salutò e giocò coi suoi figli, cenò, stette coi suoi cari sul divano a guardare un film, uno di quei film così che danno spesso alla tivù che però ai bimbi piace, poi li portò a nanna, prese sua moglie per mano e l’amò, ancora una volta, come fosse la prima volta.
Glauco Besozzi, uno che passava di là…
Papo, questi sono dei Glauco Besozzi?
Uno era un ragazzo curioso, preciso, indagava a fondo sul funzionamento delle cose, lavorava bene ma non gli bastava, voleva capire le regole ambigue che governavano il suo strano paese. Gli era venuto questo, ed altri tarli, da quando era stato tradito da chi lo aveva messo al mondo. Non avrebbe mai fatto nulla di avventato, non faceva parte del suo essere. Preparò lo zaino, poche cose essenziali, prenotò l’aereo, mise su un conto internazionale i pochi soldi che aveva da parte ed andò dall’altra parte del mondo a cercare risposte, sicuro di trovarsi.
Due era un bambino esuberante relegato troppo presto alla solitudine ed al rispetto delle regole, solo in un colleggio. Gli avevano persino imposto di non usare la mano sinistra per scrivere. Due era spezzato dentro, impossibile persino per sé stesso capirsi. Due non partì mai, visse la più canonica delle vite: tanto lavoro, carico di responsabilità, la famiglia e la casa. Due era buono, generoso, il più affidabile tra gli amici, ma ebbe sempre problemi relazionali. Ogni tanto dava di matto… chi lo conosceva sapeva che era solo il bambino mancino che rivendicava il suo spazio.
Tre è seduto sul divano la mattina dopo Natale. Tre è un uomo, nei pensieri di un ragazzo, nei sogni di un bambino. Tre osserva l’andare delle cose, lo scorrere della corrente e gli piace tanto trasformarla in burla o in poesia. Tre sa che nulla succede per caso. Tre ha il più bello dei sogni da realizzare e il più grosso dei crucci da curare. Tre vola grazie alla leggerezza del suo sogno ma sa che solo professionalità, perizia e buona sorte glielo faranno realizzare. Tre ingoia tutto l’amaro del suo cruccio, sapendo che solo leggerezza e fede incrollabile lo risolveranno.
Poi c’è un Quattro, un Cinque, un Mille e il tuo numero, che solo tu puoi scegliere come vivere.
Papo, questa che Glauco la dice?
Ai bambini e al bambino interiore in ognuno di noi parlo tutti i santi giorni, provo a divertirlo, a commuoverlo, a farlo ragionare e a fargli girare le balle. Agli adulti non ho niente da dire, il grigio vuoto che li pervade mi disarma, mi restano azioni concrete da compiere e traguardi da tagliare per mostrargli la meraviglia dei colori!
A tutti i bambini auguro di continuare a stupirsi giorno dopo giorno senza mai perdere l’entusiasmo e la voglia d’essere sé stessi!
Sappi che non si realizza il sogno migliore. E nemmeno quello più bello. Di solito si realizzano quelli organizzati nei minimi dettagli, quelli che hanno il riscontro di tante persone, e quelli in cui ci si crede ciecamente. Sappi anche che c’è sempre un’eccezione pronta a confermare la regola, quindi in qualsiasi modo ti venga di farlo, continua a Sognare!
Papo, non fregherà una mazza a nessuno ma a Noi sì! Mi aiuti a scriverlo ‘sto nuovo libro prima di tornare a pescare insieme?
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