Ho conosciuto il dolore
Ciao Papo,
prima o poi, dopo la faticosissima lettera ai dottori, riuscirò anche a scrivere a chi ci segue per ringraziarlo e, nel caso se la senta, dirgli cosa può fare per aiutarmi a realizzare il mio Sogno. Stanotte però sono caduto dentro una canzone. Sì, stanotte, perché ieri è andata bene e ho dormito sei ore e mezza. Stanotte alla una e mezza ero già sveglio. Probabilmente ti cercavo e ti ho trovato in una canzone. Una canzone che ha postato qualche giorno fa una signora in risposta a una mia lettera a te. Si intitola “Ho conosciuto il dolore”, è di Roberto Vecchioni, un signore che scrive belle canzoni serie, canzoni d’Autore, troppo serie e pallose per i tuoi gusti. A me invece è piaciuta tanto e l’ho ascoltata e riascoltata tutta la notte, e anche se la fa incazzare che io parli di lei, che scriva di lei e di noi, che gli sconosciuti sappiano i fatti nostri, dedico questa canzone alla tua mamma che, oltre a essere la mia Compagna, è il mio migliore Amico ed è l’Emblema in carne e ossa di ciò che canta Vecchioni in questa canzone. La dedico alla tua mamma per ringraziarla di essere chi È e come lo È.
La canzone è questa: https://www.youtube.com/watch?v=luZ00bMj2Z4
E queste sono le parole che canta Vecchioni:
“Ho conosciuto il dolore
(di persona, s’intende)
e lui mi ha conosciuto:
siamo amici da sempre,
io non l’ho mai perduto;
lui tanto meno,
che anzi si sente come finito
se, per un giorno solo,
non mi vede o non mi sente.
Ho conosciuto il dolore
e mi è sembrato ridicolo,
quando gli dò di gomito,
quando gli dico in faccia:
”Ma a chi vuoi far paura?”
Ho conosciuto il dolore:
ed era il figlio malato,
la ragazza perduta all’orizzonte,
il sogno strozzato,
l’indifferenza del mondo alla fame,
alla povertà, alla vita…
il brigante nell’angolo
nascosto vigliacco battuto tumore
Dio, che non c’era
e giurava di esserci, ah se giurava, di esserci… E non c’era
ho conosciuto il dolore
e l’ho preso a colpi di canzoni e parole
per farlo tremare,
per farlo impallidire,
per farlo tornare all’angolo,
cosi pieno di botte,
cosi massacrato stordito imballato…
cosi sputtanato che al segnale del gong
saltò fuori dal ring e non si fece mai più
mai più vedere
Poi l’ho fermato in un bar,
che neanche lo conosceva la gente;
l’ho fermato per dirgli:
“Con me non puoi niente!”
Ho conosciuto il dolore
e ho avuto pietà di lui,
della sua solitudine,
delle sue dita da ragno
di essere condannato al suo mestiere
condannato al suo dolore;
l’ho guardato negli occhi,
che sono voragini e strappi
di sogni infranti: respiri interrotti
ultime stelle di disperati amanti
-Ti vuoi fermare un momento?- gli ho chiesto –
insomma vuoi smetterla di nasconderti? Ti vuoi sedere?
Per una volta ascoltami!! Ascoltami
…. e non fiatare! –
Hai fatto di tutto
per disarmarmi la vita
e non sai, non puoi sapere
che mi passi come un’ombra sottile sfiorente,
appena-appena toccante,
e non hai vie d’uscita
perché, nel cuore appreso,
in questo attendere
anche in un solo attimo,
l’emozione di amici che partono,
figli che nascono,
sogni che corrono nel mio presente,
io sono vivo
e tu, mio dolore,
non conti un cazzo di niente
Ti ho conosciuto dolore in una notte di inverno
una di quelle notti che assomigliano a un giorno
Ma in mezzo alle stelle invisibili e spente
io sono un uomo…. E tu non sei un cazzo di niente”.
Quanto ho pianto stanotte, Papo. Dio non esiste. Forse dopo la morte non c’è proprio un bel niente. Ascolterò questa canzone un miliardo di volte, perché io non sono forte come tua mamma e tua sorella. Io devo applicarmi con costanza per tenere a bada il dolore. Ieri sera sono saliti a cena i nonni e io ho apparecchiato per sei persone, poi la mamma mi ha fatto notare che siamo in cinque. Ti ricordi, Papo, quella divertentissima scena nel film “Mean Machine”, quando al “Santo”, il portiere folle pluriomicida condannato a più ergastoli, si para davanti un avversario e cade in un trip mentale nel quale immagina vividamente come poterlo ammazzare di botte con calci volanti, prese al collo e piroette mortali? Ti ricordi che risate questa scena, Papo? Ecco, io ieri stavo per scardinare il tavolo da pranzo dal mobile e lanciarlo fuori dalla porta finestra chiusa. C’era Totta che guardava la tv e sono rimasto calmo. Rimango sempre calmo alla fine dei miei raptus mentali, ma in questo mese senza di te quante volte sono dovuto scendere a patti con i miei istinti più bassi. E a dirtela tutta, Papo, non sono bassi per niente, sono solo veri. È solo che Totta non si merita di avere un padre psicotico. La mamma non si merita di avere un compagno psicopatico. Lo zio Frenk non si merita di avere un fratello pazzo. Il Nonno e la Nonna non si meritano di avere un figlio folle. Vado avanti così, Papo, a fare quello che si “deve”, ma cazzo se è dura starci insieme e conviverci con ‘sto fottuto dolore. Un dolore cieco che non porta a niente. Sto conoscendo il Dolore e la Fede. La Fede vera, fatta di lacrime e sudore, non quella cazzata farcita di immaginette macabre di cristi e madonne. La Fede che ti fa andare avanti anche se sei uno straccio sgualcito, strappato, umido, unto e puzzolente. La Fede che un giorno ci riabbracceremo. La Fede che, se anche fosse tutto qui e non ci rivedremo mai più, sei stato l’Esperienza più preziosa della mia vita e a ogni respiro sei nel mio fiato, a ogni pensiero sei nella mia testa e in ogni battito sei nel mio cuore. La Fede che “tutto e il contrario di tutto”. E io ho conosciuto te, Papo, e sei Fede contro il dolore.
Sono sveglio dall’una e mezza e, come tutte le mattine, mi riduco a chiudere la lettera entro le otto perché poi c’è da correre a lavoro. Non so se ti ha fatto piacere ricevere la mia lettera, ma oggi era questo che potevo offrirti. Tu invece mi hai dato tanto anche stanotte e continui a darmelo, Grazie Infinite, Papo!
Papà
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